martedì 7 novembre 2017

La Repubblica inquieta : l'Italia della Costituzione, 1946-1948 di Giovanni De Luna
“I partigiani, gli uomini in armi, erano diventati elettori, ed erano restati uomini, proponendo direttamente il proprio vissuto come l’elemento indispensabile ‘perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su quella carta’.”

Il grande racconto dei primi tre anni della Repubblica, della nascita della Costituzione e dell’impossibilità di costruire la comunità ideale che aveva ispirato la Resistenza.
 La storia dell’Italia repubblicana comincia nel caos. La fine della guerra ha lasciato dietro di sé un paese logorato e diviso, ma soprattutto ha fatto emergere le fratture di lungo periodo che il fascismo aveva oscurato a colpi di propaganda e di retorica nazionalista. Nel 1945 il paese è costretto a fare i conti con le profonde differenze che lo attraversano da nord a sud. C’è uno squilibrio economico, infrastrutturale e demografico, ma anche una forte contraddittorietà nel modo di reagire alla fine del conflitto: la guerra non è stata vissuta da tutti allo stesso modo. Chi si muove con energia, come gli operai del Nord, che dopo il rapporto con il Pci consolidato durante la guerra vogliono impadronirsi delle fabbriche, abita di fianco a chi torna da reduce e si ritrova improvvisamente senza riferimenti e senza lavoro. De Luna sottopone i primi anni di vita della Repubblica italiana a un’indagine acuta e rigorosa. Cominciando con una domanda: è vero che la Resistenza aveva sostanzialmente fallito “l’occasione storica” di rinnovare profondamente le strutture portanti del paese? Per dipanare la complessità di questo periodo decisivo, De Luna costruisce una narrazione corale, fatta delle voci di una grande galleria di testimoni, a partire dalla storia personale di chi torna dalla guerra o va a cercare fortuna negli Stati Uniti, fino ai grandi scenari della politica, che hanno per protagonisti Alcide De Gasperi, Palmiro Togliatti, Ferruccio Parri e Pietro Nenni. E ci costringe a riflettere sulla nostra identità e sul nostro passato, spingendoci a fare i conti con uno dei capitoli più difficili, ma anche appassionanti, della nostra storia nazionale.

Sette tesi sulla magia della radio di Massimo Cirri
Una nave nuova di zecca, passeggeri pieni di speranze, il futuro all'orizzonte mentre la musica suona. Poi un iceberg, il naufragio, il silenzio. Fino alla fine a raccontare quello che accade è solo il ragazzo giovanissimo che fino a poco prima mandava festosi telegrammi dalla tolda della nave: il marconista. ''Siamo alle basi dell'immaginario moderno. La radio inizia qui'' scrive Massimo Cirri, che comincia questo libro con la scena epica del Titanic e prosegue raccontandoci come dal titic titic del segnale morse si sia passati alle trasmissioni vocali, e come l'invasione di milioni di radio music boxes nelle case sia stata una pacifica, meravigliosa rivoluzione. La radio è senza fili, la radio non ci chiede di abbrutirci sul divano, la radio vive anche nel buio, la radio sa interferire con la nostra esistenza quotidiana in modo dialogico e non invadente grazie alla natura poligama, porosa e sempre, costitutivamente, sintonica che le appartiene. Con la sua voce inconfondibile, capace di sorridere e di emozionarsi per noi, Cirri spazia dalla ex Jugoslavia a New York, da Bertolt Brecht a Linus, dagli esperimenti di Danilo Dolci ad Alto gradimento e molto oltre per costruire un racconto che è al tempo stesso cronaca appassionata di una vita di lavoro in radio e meditazione su questo medium: che cambia, cresce, passa dal transistor al podcast ma rimane un magico crocevia di incontri, che vive nello spazio puro del suono e si sottrae alla tirannia delle immagini per essere un luogo di libertà, in cui la musica e le parole sono ancora, fino in fondo, se stesse.


L'impronta digitale : cultura umanistica e tecnologia di Lorenzo Tomasin
L’informatica è davvero il latino del XXI secolo, come afferma oggi chi propone la cultura tecnologica quale nuovo cardine di istruzione, ricerca e politica culturale? La tecnologia sta influendo profondamente sulla cultura umanistica: dalla formazione di base alla ricerca avanzata, essa non offre solo preziosi strumenti al servizio delle scienze, e delle scienze umane in particolare, ma in molti casi tende a riscriverne obiettivi e linguaggi, ponendone in discussione il ruolo nella società e nel sistema dei saperi. Anziché come proficuo mezzo a disposizione di tutte le discipline, la tecnologia si pone spesso come fine o centro del discorso culturale. Il rimedio a questa deriva non è la tecnofobia, ma un’alternativa ragionevole all'oltranza digitale. Nel volume l’autore propone una risposta graffiante ai pericoli di una diffusa idea ingegneristica di lingue, storia e cultura.

Le ceramiche italiane di Leopold Anzengruber. Da Vietri a Firenze 1932-1941 di Giorgio Levi

Il libro documenta, per la prima volta, la produzione italiana del famoso ceramista austriaco Leopold Anzengruber. Una assoluta novità è la produzione vietrese (I.C.S. ed Avallone, dal 1932 al 1934), fino ad oggi del tutto sconosciuta. Il libro presenta un numero elevato di ceramiche vietresi di qualità, le prime opere di un giovanissimo Anzengruber: ceramiche firmate e ceramiche attribuite sulla base di una analisi meticolosa dei marchi. Viene poi presentata la produzione fiorentina realizzata da Zaccagnini tra il 1936 ed il 1938: statuine, in gran parte inedite, anch'esse di grande qualità. Il periodo italiano si chiude alla S.A.C.A. di Sesto Fiorentino, tra il 1938 ed il 1941. La produzione sestese, più commerciale, ebbe un grande successo sul mercato, soprattutto fuori dell'Italia. Il libro si conclude con due capitoli dedicati alla iniziale produzione viennese del secondo dopoguerra (che più si rifà allo stile italiano), ed all'influenza che le ceramiche di Anzengruber (soprattutto quelle fiorentine) hanno esercitato su varie manifatture italiane. Il libro ha una introduzione di Uta M. Matschiner, la studiosa austriaca che ha pubblicato un libro sulla produzione della manifattura Anzengruber Keramik di Vienna, a partire dal 1949. Si conclude infine con un saggio dello storico dell’arte Claudio Caserta, che colloca l’opera di Anzengruber all’interno dei movimenti artistici del 900 e mette in evidenza la assoluta originalità ed autonomia dello scultore austriaco. 

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