La Repubblica inquieta : l'Italia della Costituzione, 1946-1948 di Giovanni De Luna
“I partigiani, gli uomini in armi, erano diventati elettori, ed
erano restati uomini, proponendo direttamente il proprio vissuto come
l’elemento indispensabile ‘perché la libertà e la giustizia potessero essere
scritte su quella carta’.”
Il grande racconto dei
primi tre anni della Repubblica, della nascita della Costituzione e
dell’impossibilità di costruire la comunità ideale che aveva ispirato la
Resistenza.
La storia dell’Italia
repubblicana comincia nel caos. La fine della guerra ha lasciato dietro di sé
un paese logorato e diviso, ma soprattutto ha fatto emergere le fratture di
lungo periodo che il fascismo aveva oscurato a colpi di propaganda e di
retorica nazionalista. Nel 1945 il paese è costretto a fare i conti con le
profonde differenze che lo attraversano da nord a sud. C’è uno squilibrio
economico, infrastrutturale e demografico, ma anche una forte contraddittorietà
nel modo di reagire alla fine del conflitto: la guerra non è stata vissuta da
tutti allo stesso modo. Chi si muove con energia, come gli operai del Nord, che
dopo il rapporto con il Pci consolidato durante la guerra vogliono impadronirsi
delle fabbriche, abita di fianco a chi torna da reduce e si ritrova
improvvisamente senza riferimenti e senza lavoro. De Luna sottopone i primi
anni di vita della Repubblica italiana a un’indagine acuta e rigorosa.
Cominciando con una domanda: è vero che la Resistenza aveva sostanzialmente
fallito “l’occasione storica” di rinnovare profondamente le strutture portanti
del paese? Per dipanare la complessità di questo periodo decisivo, De Luna
costruisce una narrazione corale, fatta delle voci di una grande galleria di
testimoni, a partire dalla storia personale di chi torna dalla guerra o va a
cercare fortuna negli Stati Uniti, fino ai grandi scenari della politica, che
hanno per protagonisti Alcide De Gasperi, Palmiro Togliatti, Ferruccio Parri e
Pietro Nenni. E ci costringe a riflettere sulla nostra identità e sul nostro
passato, spingendoci a fare i conti con uno dei capitoli più difficili, ma
anche appassionanti, della nostra storia nazionale.
Sette tesi sulla magia della radio di Massimo Cirri
Una nave nuova di zecca,
passeggeri pieni di speranze, il futuro all'orizzonte mentre la musica suona.
Poi un iceberg, il naufragio, il silenzio. Fino alla fine a raccontare quello
che accade è solo il ragazzo giovanissimo che fino a poco prima mandava festosi
telegrammi dalla tolda della nave: il marconista. ''Siamo alle basi
dell'immaginario moderno. La radio inizia qui'' scrive Massimo Cirri, che
comincia questo libro con la scena epica del Titanic e prosegue raccontandoci
come dal titic titic del segnale morse si sia passati alle trasmissioni vocali,
e come l'invasione di milioni di radio music boxes nelle case sia stata una
pacifica, meravigliosa rivoluzione. La radio è senza fili, la radio non ci
chiede di abbrutirci sul divano, la radio vive anche nel buio, la radio sa
interferire con la nostra esistenza quotidiana in modo dialogico e non
invadente grazie alla natura poligama, porosa e sempre, costitutivamente,
sintonica che le appartiene. Con la sua voce inconfondibile, capace di
sorridere e di emozionarsi per noi, Cirri spazia dalla ex Jugoslavia a New
York, da Bertolt Brecht a Linus, dagli esperimenti di Danilo Dolci ad Alto
gradimento e molto oltre per costruire un racconto che è al tempo stesso
cronaca appassionata di una vita di lavoro in radio e meditazione su questo
medium: che cambia, cresce, passa dal transistor al podcast ma rimane un magico
crocevia di incontri, che vive nello spazio puro del suono e si sottrae alla
tirannia delle immagini per essere un luogo di libertà, in cui la musica e le
parole sono ancora, fino in fondo, se stesse.
L'impronta
digitale : cultura umanistica e tecnologia di Lorenzo Tomasin
L’informatica è davvero
il latino del XXI secolo, come afferma oggi chi propone la cultura tecnologica
quale nuovo cardine di istruzione, ricerca e politica culturale? La tecnologia
sta influendo profondamente sulla cultura umanistica: dalla formazione di base
alla ricerca avanzata, essa non offre solo preziosi strumenti al servizio delle
scienze, e delle scienze umane in particolare, ma in molti casi tende a
riscriverne obiettivi e linguaggi, ponendone in discussione il ruolo nella
società e nel sistema dei saperi. Anziché come proficuo mezzo a disposizione di
tutte le discipline, la tecnologia si pone spesso come fine o centro del
discorso culturale. Il rimedio a questa deriva non è la tecnofobia, ma
un’alternativa ragionevole all'oltranza digitale. Nel volume l’autore propone
una risposta graffiante ai pericoli di una diffusa idea ingegneristica di
lingue, storia e cultura.
Il libro documenta, per
la prima volta, la produzione italiana del famoso ceramista austriaco Leopold
Anzengruber. Una assoluta novità è la produzione vietrese (I.C.S. ed Avallone,
dal 1932 al 1934), fino ad oggi del tutto sconosciuta. Il libro presenta un
numero elevato di ceramiche vietresi di qualità, le prime opere di un
giovanissimo Anzengruber: ceramiche firmate e ceramiche attribuite sulla base
di una analisi meticolosa dei marchi. Viene poi presentata la produzione
fiorentina realizzata da Zaccagnini tra il 1936 ed il 1938: statuine, in gran
parte inedite, anch'esse di grande qualità. Il periodo italiano si chiude alla
S.A.C.A. di Sesto Fiorentino, tra il 1938 ed il 1941. La produzione sestese,
più commerciale, ebbe un grande successo sul mercato, soprattutto fuori
dell'Italia. Il libro si conclude con due capitoli dedicati alla iniziale
produzione viennese del secondo dopoguerra (che più si rifà allo stile
italiano), ed all'influenza che le ceramiche di Anzengruber (soprattutto quelle
fiorentine) hanno esercitato su varie manifatture italiane. Il libro ha una
introduzione di Uta M. Matschiner, la studiosa austriaca che ha pubblicato un
libro sulla produzione della manifattura Anzengruber Keramik di Vienna, a
partire dal 1949. Si conclude infine con un saggio dello storico dell’arte
Claudio Caserta, che colloca l’opera di Anzengruber all’interno dei movimenti
artistici del 900 e mette in evidenza la assoluta originalità ed autonomia
dello scultore austriaco.
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